Vivere in una piccola cittadina, in una regione ancora più piccola, che ha meno abitanti di Genova o Palermo, significa essere esposti, di tanto in tanto, a curiosi fenomeni mediatici. Uno di questi è la sparizione totale del senso critico quando chi ne dovrebbe essere l’oggetto è un personaggio locale di successo nazionale.
E’ il caso del libro Premio Campiello 2007, Mille anni che sto qui, la cui autrice Mariolina Venezia si fregia del titolo di mia concittadina. Il libro è la storia di una famiglia di Grottole, cadente paese a pochi chilometri da Matera, per molti versi simile alla Gagliano di Carlo Levi. La vicenda si snoda lungo un secolo e più attraverso la discendenza matrilineare di una famiglia di signori caduta in disgrazia che si barcamena tra diverse fortune.
Il libro della Venezia, bisogna ammetterlo, si fa leggere. E’ stato votato da una giuria popolare, quindi non c’è da dubitarne.  Il modello cui si ispira è chiaramente la Isabel Allende de La casa degli Spiriti, come si arguisce dai nomi delle  protagoniste, tutti diverse variazioni sul termine bianco (Concetta, Alba, Candida, Albina) com’era appunto nei nomi del libro della Allende. Ma immancabilmente si ispira anche, per certi versi, al Carlo Levi di Cristo si è fermato a Eboli, che rappresenta un po’ la pietra miliare della letteratura sul popolo Lucano.
Di roba da raccontare l’autrice ne ha,  forse più di Levi e Allende messi insieme; ma il susseguirsi degli episodi, per quanto gustoso, è talmente frenetico che non lascia spazio per alcun approfondimento psicologico: i caratteri sono sbozzati come pupi di un presepe popolatissimo, tanto che tocca spesso tornare indietro di qualche pagina per capire chi è il personaggio che ci è stato velocemente presentato prima e che torna per una breve parte da protagonista.
Se la prima parte, per quanto a tratti disorganica e priva di acme, si presenta piacevole, la seconda parte, in cui l’autrice affronta il personaggio che rappresenterebbe il suo alter ego, diventa banalmente autoreferenziale, confusa e sfilacciata. E viene inoltre ad essere troppo lunga in rapporto agli eventi così come la prima risultava corta e non approfondita. Una diversa calibrazione dei tempi della narrazione avrebbe certo giovato al romanzo. Insomma, ho tirato un sospiro di sollievo sulle ultime pagine, perché ormai la vicenda si trascinava senza che si riuscisse a capire dove volesse andare.
La Venezia scrive fiction per la televisione ed è evidente il suo approccio visivo e scenografico alla scrittura. Ma spesso è come se avesse in mente scene da film che ridotte a parola scritta perdono di vita e di profondità. Come se dipingesse un quadro pieno di dettagli a larghe pennellate, così che solo a tratti si possa cogliere vagamente quel che intendeva dire.
Del resto non è accertato che avesse qualcosa da dire. "Scrivo per guadagnare soldi. E’ il mio mestiere e, come diceva Flannery O’ Connor, e’ quello che mi riesce bene" è la sua dichirazione dopo la vittoria del Campiello.
Sull’ultimo assunto avrei qualcosa da ridire, ma per il resto il ragionamento non fa una piega.
Mi resta solo da capire perché i miei concittadini l’incensino come se si trattasse di una nuova Nadine Gordimer. Ai posteri l’ardua sentenza. <!–

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13 commenti

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13 risposte a “

  1. L’ho iniziato a leggere sul letto d’ospedale, poi non l’ho più ripreso. E’vero … scritto bene, così pare … ma alla fine è un successo perchè pieno di pettegolezzi su una delle famiglie più conosciute del paesino in questione. E sfido io che in questa società voyeristica non doveva avere il “meritato” successo!
    Anzi lancio un appello, se c’è qualcuno che vuole la mia copia gliela cedo benvolentieri

  2. Ma che fai di mestiere? No, perchè come recensore sei fantastica! :)))
    I concittadini di solito incensano perché pensano che un po’ d’incenso poi vada a profumare anche loro istessi medesimi… 😉

  3. sono convinta che questo nella mia città non succederebbe, anzi, qui ci si compiace di trattare male i concittadini a prescindere (della serie: seh, quello lo conosco, avrà fatto anche i soldi ma…) mentre nel sud accade più spesso il contrario, per la solita questione del senso di solidarietà comunitaria, per quanto poi falsa o traviante possa risultare.

  4. Guarda…al mio paesello si osanna Enrico Papi….ritieniti fortunata….

  5. Interessante recensione, Lilian, convengo con Mami! A me la Allende era piaciuta, mentre Levi non l’ho mai letto.

  6. utente anonimo

    a me è piaciuto, hai ragione nel dire che prende spunto dalla Alliende, ma cerca solo di fare un “exursus” storico di un periodo poco noto della storia italiana e in particolar modo post 1861, nn la criticherei molto!!!!! zianto3

  7. Dalle parti del riminese, che peraltro hanno dato natali a gente come Pascoli e Lega, menano il torrone con Tonino Guerra e Fellini…

  8. ahahahaaaaaaaaaaa.Tonino Guerra…mitico 😉

  9. @hb: cedi la tua copia a mia zia, visto che ne è rimasta entusiasta… 😛

    @Mami e Anarcadia: grazie per i compliimenti… la Allende, e soprattutto La Casa degli Spiriti, ai tempi piacque moltissimo anche a me. forse anche per questo vederla imitata mi dà ai nervi…

    @Capelli: a te non t’invidio proprio… Papi…brrr….

    @Berbhoom, vedo che anche tu non sei un estimatore di Fellini… almeno una cosa ci mette d’accordo.

    @Lilith, in questo, in effetti,come in altri campi, sono poco sudicia e molto nordica…

    @Zieeeetta, non è che il libro tutto sommato non mi sia piaciuto… ma dargli il campiello… ‘nzomma… mi pare un pochino esagerato.

  10. utente anonimo

    forse nn avevano niente di meglio per poter assegnare il premio!!!!!!zianto3

  11. L’unica cosa che di Fellini ho estimato, una diecina di anni fa, è stata la nipotina, molto simpatica, alta e dai capelli rossi che fa la giornalista.

  12. Quanto al libro.
    A me è piaciuto. Mi è piaciuto il racconto. Mi è abbastanza piaciuto anche il modo in cui è stato scritto. Mi è piaciuto ritrovare in quel racconto le storie della mia terra e quelle dei miei nonni.

    Quanto all’effeto_territorio…un sano campanilismo e un po’ di tifo locale fanno bene.

    E poi, diciamocelo, nel leggere una storia che parla della tua terra c’è una componente emotiva da cui non si può prescindere.

  13. il fatto è che odio il campanilismo. sono una di quelle maledette persone che dopo aver vissuto fuori per dieci anni tornano e vedono tutti i difetti della propria città.

    riguardo alla componente emotiva, sicuramente c’è. ma ti assicuro che partivo con pregiudizi positivi, il libraio che me l’ha venduto mi diceva che aveva fatto scalpore nel paese in cui è ambientato e per me era una buona presentazione, voleva dire che andava contro i pregiudizi. forse anche per questo sono rimasta delusa. capita, quando ti aspetti molto.
    ciao Sblog!

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