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Lidea che ho sognato di me stessa.

Avevo appena compiuto nove anni quando i miei nonni mi regalarono Piccole Donne. Credo che allepoca conoscessi già la storia per averla letta sul Giornalino (ebbene sì, da bambina leggevo Il Giornalino,  lo compravo tutte le domeniche a messa,  e nonostante questo, non ci crederete, ho una vita sessuale normale).

Per questo, e per il fatto che avevo già visto almeno due o tre volte il film del ’49 con la Taylor, Janet Leigh e June Allyson, Jo rappresentò per anni la donna che avrei voluto diventare. Il primo e forse più importante modello femminile della mia vita… anche fisicamente, con i suoi lunghi capelli castani, feticcio venduto per pochi soldi a un parrucchiere, in una scena memorabile del film.
(“Dove hai preso tutti questi soldi, Jo?” – “Ho venduto qualcosa di mio.” – si toglie il cappello e mostra la chioma arruffata – “I tuoi capelli! La tua unica bellezza!”). Sono vent’anni che cerco di averli lunghi come i suoi, ma evidentemente loro non sono d’accordo, dato che continuano a restare attaccati al pettine con una pervicacia che a Jo avrebbe fatto invidia.

Conseguentemente,  a nove anni avevo deciso che da grande avrei voluto fare la scrittrice, come il 20% delle bambine della mia età (il restante 80% era allepoca equamente ripartito tra: stilista, infermiera, parrucchiera e attrice, carriere oggi sostituite tutte nei sogni delle bambine dalla Velina, che un po le assomma, nel senso più perverso che si possa loro atribuire).
Proposito ammirevole e imprudente da cui mio nonno mi fece desistere con una perla di saggezza contadina: “Vuoi morire di fame?”. Il mio animo concreto di donna capricorno era sensibile già allora a questo genere d’argomenti, e spostai i miei sogni verso orizzonti più concreti.

Tuttavia Jo resta “l’idea che ho sognato di me stessa”, come dice la signora lassù, o per lo meno lo è stata per tutta la mia preadolescenza.
E’ indicativo che mia sorella Doroty fosse invece sfegatata fan di Amy. Il rapporto di amore/odio che lega le due sorelle nel romanzo è molto simile a quello lega noi due nella realtà… e non posso giurare di non averla mai vista dormire con una molletta da bucato pinzata sul naso.

Se avessi seguito davvero le orme di Jo fino in fondo oggi sarei forse un’insegnante di lettere con l’hobby della scrittura. Sarebbe ingiusto dire che sono contenta di non esserlo, ma certo non rimpiango di non esserlo diventata.  
Anche perché mi sfuggivano, allora, le implicazioni sociologiche del suo rifiuto al bel Laurie, che lamava, e che finì con lo sposare la più femminile, fatua e capricciosa Amy. Non potevo capire quanto Jo precorresse i tempi, con la sua caparbia intenzione di scrivere e andare avanti con le sue gambe rifiutando un vantaggioso matrimonio. Trasporre la sua scelta sul piano moderno significherebbe osare molto di più dal punto di vista della ricerca della propria realizzazione personale fuori dal contesto familiare tradizionale. Cui Jo, seppure tardivamente rispetto alle sue sorelle, approda comunque, com’era inevitabile ai suoi tempi.

Ogni tanto  ripenso a me stessa e mi accorgo che ancora mi piaccio quando sono più simile a lei: caparbia, sognatrice e un po musona.

E penso a quanto sarei diversa se invece che Piccole Donne i miei nonni mi avessero regalato L’Histoire de ma vie di George Sand.

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Ritratto O.T.

Mi si perdonerà se oggi non manterrò la piena attinenza al tema. La donna di cui parlo oggi non è tra quelle che vorrei essere o avere.

Sto parlando del nuovo ministro delle Pari Opportunità, Mara Carfagna, che possiede una dote che certo la porta ad avere molte opportunità, addirittura più di quelle degli uomini: è una strafiga.

E’ stata fatta tanta facile ironia su questa nomina, in tanti se la sono presa con Carfagna per il ricoprire un incarico per cui secondo i più:

1 – Non sarebbe all’altezza, perché fino a ieri faceva la valletta a La Domenica del Villaggio

2 – Non rappresenta le donne italiane, che hanno evidentemente più problemi di lei nella gestione della cellulite e dei pori dilatati

3 – Non può essere Ministro delle Pari Opportunità perché si è piegata per anni al ruolo di donna oggetto.

Delle tre critiche condivido pienamente soltanto la terza. La prima è un pregiudizio odioso da cui ho difeso Carfagna già due anni fa quando venne eletta deputato per la prima volta.

La seconda si potrebbe facilmente imputarla anche al Ministro uscente: ho avuto il piacere di stringere la mano a Barbara Pollastrini l’ 8 marzo e posso confermare che poche donne in Italia posseggono il suo charme e la sua classe.

La terza è il vero nodo della questione. Ma prendersela con il Ministro ha poco senso. Senza dubbio Mara Carfagna ha cercato la propria personale realizzazione nella vita in un modo che io non condivido, in un primo tempo. Ma, che sia pentita o meno di averlo fatto (e francamente dubito che lo sia), questo non deve impedirle di continuare a  perseguire le proprie idee e la propria realizzazione. Rinunciare al ruolo di Ministro in nome della coerenza non si può chiederlo nemmeno ad un asceta della politica.

Il punto vero, quello che sfugge ancora a molti, è un altro. Chi ha deciso di dare a Carfagna il ministero delle Pari Opportunità lo ha fatto per prendere in giro tutte le donne del Paese. Per relegarle al loro posto di graziose concubine (e il ruolo di concubina, al Ministro, gliel’ha assegnato lui, con quel simpatico gioco di avances che tanto infuriò sua moglie). Ribadisce il ruolo che assegna al mondo femminile come aveva già fatto in campagna elettorale consigliando un matrimonio d’interesse alla precaria che gli chiedeva quale fosse il suo futuro; lo ribadisce escludendo dalle cariche l’intraprendente Brambilla, certo la donna più significativa della sua coalizione. Forse l’unica che avrebbe puntato i piedi per un ministero con un portafoglio, non un guscio vuoto di rappresentatività.

Quindi lasciamo in pace Carfagna che cerca di guadagnarsi il suo posto al sole e prendiamocela, per una volta, con la mano (morta) che l’ha voluta rendere un esempio da seguire per tutte le donne italiane.

Io ne scelgo un altro: Vittoria Franco, Ministro Ombra per le Pari Opportunità. Che vanta una serie di iniziative legislative  di tutto rispetto.  E, guarda caso, anche un intervento sul ruolo della donna nelle trasmissioni televisive.  Ecco, sono tornata in tema. Vittoria Franco è il Ministro delle Pari Opportunità che vorrei avere.

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Perché?

Marjane Satrapi è la grinta che vorrei avere. Di lei ho già parlato qui, un po’ di anni fa. All’epoca i suoi fumetti erano ancora roba per appassionati. Oggi, dopo l’uscita del film Persepolis tratto dalla quadrilogia in cui l’artista ha raccontato la sua vita tra Iran e Europa, candidato agli ultimi Oscar, Marjane è certamente una delle giovani intellettuali più famose del pianeta (sempre che non si vogliano considerare tra le intellettuali attrici sue coetanee del calibro di Renée Zellweger o Catherine Zeta-Jones…).

Ma non è la fama che mi spinge a desiderare di essere lei. E a dire il vero neppure il talento. No, quello che ammiro di più in Marjane Satrapi è il coraggio  che si evince dal racconto della sua vita.

Gli anni difficili del passaggio da un regime totalitario ma laico a uno totalitario e fondamentalista, attraverso la fugace e illusoria parentesi di una rivoluzione comunista. Gli anni del conflitto con l’Iraq, sanguinoso e inutile, alimentato dall’imperialismo occidentale. Gli anni dell’esilio in Austria, un mondo alieno e ostile, in cui si ridurrà a dormire per strada, lontana da ogni affetto, a causa della fine di una storia d’amore. Gli anni del ritorno, del difficile riadattamento, della depressione, del ricominciare da capo ma nel modo sbagliato. Il coraggio di aver sopportato tutto questo con grande dignità ma soprattutto il coraggio di raccontarlo, senza edulcorarlo, senza dipingersi con le tinte tenui della dolcezza o quelle forti dell’eroismo, ma nello scarno bianco e nero della verità.

In fondo sento che da bambine siamo state simili, sognatrici e testarde, innamorate della vita ma pronte a giudicarla con sguardo severo.

E poi, da grande, lei ha conservato lo sguardo severo di quella bambina sul mondo. Continuando a chiedere  perché a un dio barbuto che assomiglia a Marx.

Ecco, per questo vorrei essere lei. Vorrei avere ancora la voglia di chiedere perché.

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Susan Calvin

Apro oggi una nuova, interessantissima rubrica di questo blog, che verrà portata avanti – udite, udite – settimanalmente (risate registrate). La rubrica è dedicata alle donne (ma va?) che vorrei essere, vorrei essere stata, avrei voluto come madre, come sorella, come amica del cuore, come amante (se diventassi lesbica).

Per inaugurare la rubrica avevo pensato a Ipazia, o ad Artemisia Gentileschi, o anche a Rosy Bindi, ma poi mi sono ricordata che tutto sommato questo è un blog cazzeggione, e cominciare con tali alti sonanti nomi avrebbe potuto indurre il lettore in errore riguardo alle mie reali intenzioni… Perciò la prima donna che vorrei essere è Susan Calvin.

A molti di voi questo nome non dirà niente. Susan Calvin è infatti un personaggio immaginario, nato dalla prolifica penna dello scienziato Isaac Asimov che per ventura è diventato uno dei più grandi scrittori di fantascienza del nostro secolo.

Susan Calvin è unacida e bisbetica zitella che si occupa di robopsicologia. Per lesattezza, è la migliore robopsicologa della galassia. Le malelingue insinuano che capisca benissimo la psicologia dei robot perché è una persona totalmente asociale. Asimov si diverte a delineare la figura di Susan Calvin adornandola di tutti gli stereotipi che si attribuiscono abitualmente alle donne intelligenti: solitaria, scontrosa, sentimentalmente frustrata, incapace di curarsi del proprio aspetto e interamente dedita al proprio lavoro. I suoi colleghi, tutti inevitabilmente maschi, non la sopportano, ma non possono fare a meno della sua intelligenza e delle sue geniali capacità di roboticista.

A vederla così, sembrerebbe il classico personaggio femminile creato dalla penna di uno scrittore misogino che riesce ad attribuire caratteristiche positive alle donne solo a patto di levargli ogni briciolo di femminilità. Insomma, il solito stratagemma di inculcare socialmente lidea che una donna, per quanto intelligente, è totalmente zero dal punto di vista sociale se non si adegua alle aspettative maschili sul suo fascino e la sua remissività. E un po è certamente così, perché Asimov scrive i primi racconti con Susan protagonista allinizio degli anni 40, periodo in cui le qualità intellettive delle donne non erano certo apprezzate, e doveva necessariamente adeguarsi al gusto dei suoi lettori. Tuttavia il modo in cui dichiara di essere "innamorato di Susan Calvin" e la pessima figura che fa fare a tutti gli interlocutori (maschi) della brillante scienziata dai modi bruschi  ci dice che in realtà la pensa ben diversamente. Non per niente nellultimo racconto con Susan Calvin protagonista, ironicamente intitulato Feminine Intuition, mette in bocca alla  robopsicologa unacuta  riflessione sugli stereotipi  che gli uomini  applicano alle donne: "Messi di fronte a una donna che giunge a una conclusione esatta e incapaci di accettare il fatto che ella sia uguale o superiore per intelligenza, inventate qualcosa chiamato  intuito femminile".
Guarda caso alla fine del racconto Susan risolve ancora una volta tutti i problemi, e quando le chiedono stupefatti come ha fatto, risponde sarcastica: "Chiamalo intuito femminile."

E sgradevole, bisbetica, probabilmente vergine, e la sua unica debolezza sono i robot, che ama assai più degli esseri umani. Ma è una donna che, nonostante si muova in una società ostile, a lei e ai suoi robot, riesce ad essere sempre vincente. Magra consolazione? Lasciate che sia lei a decidere. O che per lei decida il suo autore, che ladorava, e i suoi lettori, che ne sono tuttoggi entusiasti.
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